Chi opera nell’ambito sportivo sa che una delle preoccupazioni più sentite dai genitori è quella di trovare lo sport più adatto per i propri figli. Normalmente si cerca uno sport “completo” e la domanda che più spesso viene fatta è quale sia lo sport “più completo” in assoluto. Come è ovvio, la risposta che si dà in questi casi è che non esiste uno sport veramente completo in assoluto, in quanto ogni attività fisica, quando viene indirizzata verso una specializzazione, promuove nel praticante certe caratteristiche a discapito di altre.
La cultura popolare vede nel nuoto la disciplina che maggiormente soddisfa l’esigenza di sport “omnicomprensivo”, ma, ad un esame più attento, risulta evidente che neppure il nuoto può fregiarsi di questo titolo, perché, ad esempio, non interviene su importanti qualità quali l’abilità di coordinare il corpo rispetto allo spazio circostante, la propriocettiva, la capacità di saltare, correre o lanciare oggetti e la capacità di socializzare e di lavorare insieme agli altri per un obiettivo comune.
Ma allora, quale sport scegliere ed a quale età cominciare l’avviamento sportivo?
Per prima cosa occorre capire se la richiesta di svolgere un’attività fisica organizzata proviene dal bambino o dal genitore. Spesso il bambino mostra semplicemente una decisa e naturale volontà di muoversi, mentre è del genitore il desiderio di iscriverlo ad un corso piuttosto che ad un altro, magari per motivi di comodità organizzativa nella gestione familiare. La prima indicazione da dare è che il bambino si deve divertire a fare quello che fa. Iscriverlo ad un corso, magari prestigioso, dove però il piccolo allievo non si trova a suo agio, è sicuramente deleterio. Visto che normalmente le scuole di avviamento sportivo accettano i piccoli principianti dai cinque anni in su, soffermeremo la nostra analisi alla fascia di età compresa tra i cinque ed i sette anni. In questo periodo di crescita, il bambino ha forti motivazioni allo sport. Quando si appassiona ad un’attività motoria, ovviamente sotto forma di gioco e di divertimento, manifesta un grosso impegno ed evidenzia la presenza di una motivazione concreta e dominante. Probabilmente i due fattori primari che agiscono da molla sono il gioco e l’agonismo , oltre ad altri fattori secondari. In particolare non va sottovalutato l’agonismo, che traduce in realtà, a livello simbolico, bisogni della persona del tutto naturali, in questa età, collegati all’aggressività, all’autoaffermazione, all’interazione con la realtà. L’agonismo, dunque, essendo un fattore compensativo, equilibratore e liberatorio, se viene vissuto in un contesto organizzato, gestito da un istruttore preparato, e adeguatamente controllato, funziona da decongestionante psichico, favorendo la crescita psichica ed emotiva dell’allievo. La pratica sportiva con manifestazioni agonistiche, quindi, magari non risolve, ma contribuisce a lavorare sui bisogni e le ansie individuali del bimbo, favorendo anche il suo inserimento “sociale”. I fattori cosiddetti secondari cui si accennava, sono probabilmente più importanti nel ragazzo e nell’adulto che non nel bambino, infatti possono essere ricondotti in variabili legate a fattori comunicativi, proiettivi, catartico-liberatori, estetici, affiliativi, conformistici, economico-sociali, se non addirittura ad ansie nevrotiche reattive, forme compensative, legati all’identità sessuale. Possono però apparire anche in queste età, quando, ad esempio, il bambino “sente” che il genitore desidera con forza che egli pratichi una certa attività e non vuole deluderlo, anche se non l’appassiona.
Iscrivere un bambino ad un corso di avviamento allo sport, quindi, significa agire anche sul suo sviluppo psichico, oltre che su quello fisico. La pratica sportiva prolungata, infatti, ha degli effetti sulla personalità, essendo dimostrato, ad esempio, che può agire su eventuali atteggiamenti ossessivi, di coartazione emotiva o su atteggiamenti istrionici. La cosa importante è che sempre l’attività venga prospettata, sia da parte dei genitori che degli insegnanti come un qualcosa di divertente, che “è bello fare” , onde evitare sintomi di psicopatologie dell’atleta, a dimostrazione che lo sport, in certi suoi eccessi, non fa sempre bene, quali, ad esempio, la sindrome da paura dell’insuccesso. Si tratta di una sorta di ansia pre-agonistica, con una complessa sintomatologia psichica e somatica. Mentre l’atleta adulto lavora e si allena in funzione del risultato, ciò non deve assolutamente avvenire per il bambino e per il giovanissimo. Tra l’altro questo è sbagliato non solo evidentemente su un piano etico e sociale, ma anche funzionale e della specializzazione: un grande specialista di domani, infatti, deve oggi essere un bambino che si diverte a fare sport e che cresce equilibrato e ricco di esperienze motorie. Non ha ragione di essere, dunque, il timore di alcuni genitori che il proprio figlio non possa diventare un campione se non comincia a specializzarsi in tenera età. È più vicino al vero semmai il contrario. È però importante che fin da piccolo acquisisca varie esperienze di movimento. Anche lo stress agonistico deve essere assolutamente evitato: un atleta maturo deve avere una carica psicologica tale da farlo lottare fino alla fine, in gara, contro il suo avversario, anche se si tratta del suo migliore amico. In un bambino, però questo significherebbe caricarlo della pressione di un intero ambiente affettivo: genitori, allenatore, compagni a cui egli tiene. L’ansia potrebbe essere maggiore del piacere della pratica sportiva. Ecco perché la specializzazione va ritardata il più possibile.
Ad ulteriore conferma, riportiamo di seguito la famosa “Tabella Filin” che indica quelle che erano le età di ammissione dei giovanissimi nelle scuole sportive dell’Unione Sovietica.
Età Sport
7-8 Nuoto, pattinaggio artistico, ginnastica artistica, tennis
8-9 Acrobatica, ginnastica sportiva, tuffi, sci di fondo
10-11 Pattinaggio, canottaggio, pallacanestro, hockey, calcio, pallavolo
11-12 Atletica leggera (escluso lanci), tiro, equitazione
12-13 Pugilato, ciclismo, atletica pesante
13-14 Lanci dell’atletica leggera
Le età indicate sono quelle in cui i giovani allievi venivano avviati ad una specializzazione sportiva. Anche da questi dati possiamo ricavare argomenti per tranquillizzare i genitori in merito al fatto che per bimbi di età tra i cinque ed i sette anni non è assolutamente opportuno individuare già un indirizzo specialistico.
Bisogni dei bambini e fattori di scelta
Chiarito questo, mettiamoci ora nei panni del genitore coscienzioso che, resosi conto dell’importanza fisica e psicologica di una sana attività corporea per il figlio, si trovi in mano tre o quattro volantini di polisportive e di centri di avviamento allo sport e debba scegliere a quale corso iscriverlo. Per dargli un consiglio occorre capire di che cosa ha bisogno un bambino di età compresa tra i cinque ed i sette anni.
L’ambiente di provenienza Occorre innanzi tutto tenere in debito conto dell’ambiente di provenienza del bambino. In ambiente rurale possono non esserci problemi che sussistono in un ambiente urbano dove i bimbi, a volte, sono letteralmente deprivati sul piano senso-motorio: innumerevoli ore spese davanti alla televisione o al computer o a i videogiochi, gli spazi ristretti e monotoni, l’innaturale interdizione motoria, producono forti mancanze nel campo delle abilità motorie, che devono essere recuperate dall’insegnante sportivo. Ciò, però, non può avvenire per mezzo di ginnastiche ritualizzate o sport ripetitivi a scarso contenuto cognitivo, come, ad esempio il nuoto, se praticato in modo tradizionale, ma attraverso programmi differenziati, continuamente arricchiti in senso ludico ed estremamente variati. Al contrario, un bambino che già a cinque anni si arrampica sugli alberi e gioca all’aperto con i coetanei non ha un tale gap da recuperare.
I fattori di scelta secondo il CONI Il CONI, in Italia, nel redigere i programmi per i centri di avviamento allo sport per i bambini di ambo i sessi tra i 5 ei 7 anni, prevede che in questa fascia l’attività sportiva sia orientata a fini “fisico-formativi”, soffermando l’attenzione su quattro punti fondamentali, che descrivono le caratteristiche ed i bisogni dei bambini nelle varie fasce d’età:
- Il fattore auxologico
- Il fattore psicologico-sociale
- La strutturazione delle attività basilari di moto
- Le modalità di apprendimento.
Vediamo le caratteristiche di ciascuno di questi:
- Il fattore auxologico Tra i 5 e i 6 anni nel bambino c’è il primo allungamento, che consiste in una spinta in lunghezza che interessa soprattutto l’apparato osseo, più che quello muscolare e che si incentra soprattutto nelle gambe. Accade quindi che lo scheletro aumenti di peso, le leve ossee si allunghino senza che vi sia, però, un adeguamento della forza muscolare. La colonna vertebrale può tendere ad incurvarsi, dando origine ad attitudini quali la cifosi e la scoliosi, soprattutto quando lo sviluppo non è perfettamente simmetrico sul lato sinistro e su quello destro del corpo. Dai 7 anni incrementa la capacità respiratoria, quindi la colonna vertebrale e la gabbia toracica soffrono particolarmente se manca un’adeguata attività fisica. Dagli 8 anni, invece, c’è un certo aumento della massa e della forza muscolare che, se oculatamente guidata, porta a supplire alle carenze dei periodi precedenti.
- Il fattore psicologico-sociale Non è possibile riassumere in modo preciso le caratteristiche psicologiche degli allievi di questa fascia di età, perché vi sono sensibili differenze fra ciascuna delle tre età e tuttora la ricerca scientifica non dà risposte che possano intendersi come definitive. A cinque anni il bambino risente ancora del processo di identificazione con il genitore dello stesso sesso, pur essendo consapevole della propria diversità e del proprio corpo. Vi è comunque una dipendenza morale ed affettiva dagli adulti. Il gioco tra bambini di questa età, che è il modo principale in cui si manifesta il comportamento sociale, è caratterizzato da continui litigi ed aggressioni fisiche, magari violente, ma di breve durata. Il processo in corso, però, porta ad atteggiamenti di tipo sempre più associativo, all’interno dei quali i bambini giocano ed agiscono per realizzare un identico scopo. Dai 6 anni, invece, cominciano ad esserci notevoli progressi nell’acquisizione della consapevolezza del proprio corpo e della propria psiche. Inizia anche a comprendere come gli altri lo vedono e lo giudicano, quindi richiede agli altri di essere rispettato e di essere tenuto in giusta considerazione. Reagisce ai rimproveri e alle gratificazioni. Il settenne manifesta un notevole interesse per il proprio corpo e si diverte ad esplorarne le caratteristiche e le capacità. La sua capacità di socializzazione aumenta e, lentamente, tendono a diminuire le tendenze egocentriche. Verso gli otto anni, infine, aumenta e si rende del tutto evidente il bisogno, da parte del bambino, di autorealizzarsi, anche in funzione dei modelli che l’adulto gli dà.
- La strutturazione delle attività basilari di moto Il bambino attraversa, lentamente e durante tutto l’arco dell’età scolare, un processo di evoluzione neurofisiologica, definito “dominanza”, che fa sì che, di solito, il lato sinistro del suo corpo abbia funzioni di sostegno, appoggio e difesa, mentre il destro abbia funzioni di attacco, slancio ed offesa. Questo processo ha origine dalla mano e si evolve poi in tutto il lato del corpo, fino ad arrivare alla cosiddetta “lateralizzazione”, cioè la divisione del lato del controllo nervoso delle due metà del corpo. Senza la lateralizzazione non si è in grado di compiere efficacemente dei gesti sportivi. Il bambino non nasce lateralizzato, ma lo diventa sulla base della maturazione delle strutture nervose e finché non la raggiunge il suo schema corporeo e l’efficacia dei suoi movimenti saranno imprecisi. Ne sono sintomi la difficoltà di riconoscere il sopra e il sotto, la destra dalla sinistra, in generale la disorganizzazione psicomotoria. A questi aspetti va aggiunto lo sviluppo dello schema corporeo, cioè l’immagine di sé che il bambino ha. Si tratta delle immagini mentali, corrispondenti alle varie posizioni del corpo o di parti del corpo, sia nelle posizioni statiche, che in movimento. Occorre che il bambino sperimenti tutte le possibilità strumentali del proprio corpo: in piedi, sdraiato, seduto, a testa in giù, in tutti i tipi di movimento, in rotolamento, in caduta, e così via. Avviene per fasi: distinzione tra il sé e il non sé, riconoscimento della propria immagine allo specchio, eccetera. Anche la completa acquisizione dello schema corporeo si ottiene alla fine dell’età scolare. Lateralizzazione, schema corporeo, organizzazione spazio-temporale, sono i presupposti ed il risultato della maturazione del bambino. La lateralizzazione, come processo neuro-fisiologico, ha importanti implicazioni sugli altri due, che sono più tipicamente psicologici. Insegnanti, animatori, educatori sportivi devono favorire questo aspetto dello sviluppo cognitivo. Occorre però che esistano i necessari presupposti neuro psicologici ed affettivi, che dipendono dal rispetto dei tempi e delle scadenze evolutive che non possono essere anticipate, ma solo agevolate, preparate. Proporre ad un bambino un’attività, cioè un tipo di esperienza cognitiva, per la quale non sia ancora maturo può essere non solo improduttivo, ma addirittura controproducente. Il bambino, infatti, sceglie tempi e modi dei suoi interessi. Questo ci porta direttamente al quarto punto.
- Le modalità di apprendimento Occorre considerare che non sempre l’apprendimento motorio per imitazione è proficuo e redditizio per il bambino. L’allievo, infatti, può eseguire i gesti motori solo se precedentemente è stato posto in grado di avere imparato esperienze motorie più semplici ed elementari. L’apprendimento di ogni gesto può essere impossibile se prima il bambino non ha appreso gesti più semplici che fungono da “mattoni” per costruire quello più complesso. Quindi il processo tradizionale di insegnamento dei gesti motori: “dimostrare”- “fare eseguire”- “correggere” potrebbe non essere il più corretto, anche perché potrebbe dare origine a situazioni cariche di ansia o di frustrazione. L’obiettivo, quindi, è quello di instradare l’allievo sulla via di una buona esecuzione motoria, affinché il bimbo acquisisca padronanza dei gesti. A partire dai cinque anni, quindi, l’apprendimento motorio deve avvenire sempre per gradi e favorendo l’espressione spontanea ed individuale, in forma gioiosa e ludica. I bambini imparano dai propri errori. Una caratteristica importante dell’insegnante, quindi, deve essere quella di non sottolineare l’errore o correggerlo, ma di stimolare le capacità autocorrettive dell’allievo, inserendovi elementi motivanti l’attenzione e la ripetizione, anche per evitare che il bambino, sopraffatto dall’insuccesso o dalla frustrazione e dal rimprovero, si ritragga dal ripetere l’esperienza.
L’attività sportiva ideale
L’attività sportiva ideale, dunque, è quella che:
- È gestita da un insegnante che conosca questi quattro elementi;
- Viene organizzata nel rispetto di questi quattro fattori;
- Stimola lo sviluppo, nel bambino, delle capacità ad essi collegate e sopra descritte.
Un’altra considerazione che spontaneamente viene alla mente è che l’istruttore può divenire più importante, nella scelta, della disciplina sportiva . Visto che, come abbiamo sottolineato, l’attività in queste fasce di età deve essere generale, varia e non specialistica, nonché priva di eccessi agonistici, non ha in realtà grande importanza quale disciplina viene scelta. La cosa importante è che l’istruttore sia preparato e conosca quanto detto.
Purtroppo in molte società sportive si verifica un meccanismo distorsivo per il quale gli aspetti agonistici hanno il sopravvento su quelli ludico-formativi. Prendiamo ad esempio il caso del calcio, semplicemente perché è lo sport più diffuso nel nostro paese. Una società sportiva di medie dimensioni ha perlomeno una squadra giovanile per ogni categoria, dai “pulcini” in su fino alla “primavera”. Visto che, per un’errata ma diffusa concezione di quello che è il prestigio sportivo, le società si fregiano dei successi o comunque dei risultati delle proprie formazioni giovanili, la dirigenza spesso assegna gli allenatori o gli istruttori alle varie squadre collegando direttamente la qualità e l’esperienza del preparatore alla categoria, in modo che i ragazzini più giovani, appunto i cosiddetti “pulcini” si ritrovano l’istruttore più giovane ed inesperto, che oltretutto viene comunque incentivato a raggiungere risultati agonistici nei tornei di categoria. Questo è proprio l’atteggiamento da evitare.
Il genitore dovrebbe assicurarsi che nei primi tempi di pratica sportiva il bambino sia indirizzato verso un percorso di crescita fisica e psicologica in cui l’agonismo venga coltivato e gestito, perché utile al suo sviluppo psichico ed emotivo, ma non esasperato.
Un altro aspetto da non trascurare è la famosa distinzione tra sport di squadra e sport individuali. Secondo i più, i primi favorirebbero le capacità dell’allievo di socializzare e di inserirsi in un gruppo, mentre i secondi promuoverebbero maggiormente la capacità del singolo di assumersi la responsabilità del risultato finale. In realtà questa distinzione ha più ragione di essere quando l’attività sportiva è finalizzata ad un risultato agonistico e quindi in un periodo successivo a quello che stiamo prendendo ora in considerazione. Non va dimenticato, inoltre, che un buon insegnante è in grado di creare un forte clima di squadra, di solidarietà e di partecipazione anche in sport individuali, ad esempio organizzando saggi, cosa peraltro assai positiva anche per piccoli allievi compresi nella fascia di età tra i cinque ed i sette anni.